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In questa sezione vengono illustrati alcuni volumi che possono rivelarsi strumenti fondamentali per uno studente universitario, soprattutto di materie umanistiche, e che pertanto non dovrebbero mancare nella sua biblioteca personale.


Non si può che iniziare con un grande classico, Come si fa una tesi di laurea di Umberto Eco (scheda curata da Stefania Russo, con aggiornamento a cura di Sabina Ghirardi).


Titolo: Come si fa una tesi di laurea

Autore: Umberto Eco

Editore: La nave di Teseo

Pagine: 302

Prima edizione: ottobre 2017 nella collana “La nave di Teseo”. È del 1977 la primissima edizione Bompiani.

Prezzo di copertina: € 12,00

Brevi cenni sull’autore: filosofo, saggista, scrittore, intellettuale, Umberto Eco è stato una delle personalità che più hanno segnato la storia della linguistica e della produzione letteraria dei nostri tempi. Professore di semiotica all’Università di Bologna, è stato insignito di numerose onorificenze (è del 1996 la nomina a Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana). Membro del Gruppo 63, il successo dei suoi romanzi è universale: dal Nome della rosa (1980) al Pendolo di Foucault (1988), dall'Isola del giorno prima (1994) a Baudolino (2000). Fondatore della casa editrice «La nave di Teseo», dopo la sua morte (2016), è stato da essa ripubblicato con le opere postume Sulle spalle dei giganti (2017) e Il fascismo eterno (2018).

Commento: Come si fa una tesi di laurea è un saggio che tratta minuziosamente il difficile processo della stesura di una tesi, affrontando pertanto le principali difficoltà della scrittura accademica. Utile per chiunque si avvicini all'ideazione e alla scrittura della tesi, il volume trova un’applicazione ancora più pertinente agli studi umanistici, per i quali l’autore offre spunti anche squisitamente pratici, illustrando dei veri e propri exempla che costituiscono le basi sulle quali poi svilupperà le proprie argomentazioni.
Pur trattando la materia in modo organico e completo, il saggio mantiene la piacevolezza formale tipica dei grandi autori, una perfezione stilistica che non disdegna il ricorso all’ironia e all’autoironia, in un susseguirsi di tattiche, dritte e veri e propri prontuari per affrontare la stesura, l’editing e perfino la stampa di una tesi di laurea.
A partire dalla definizione dell’argomento, per la quale l’autore suggerisce di restringere il più possibile il campo di ricerca, si passa  alle riflessioni sul momento migliore per iniziare il lavoro, alla scelta del relatore (che non solo ha un suo peso, ma risulta essere determinante per il prosieguo del lavoro), alla ricerca del materiale (per simulare la quale l’autore si reca personalmente nella biblioteca della sua città e si spoglia di tutti gli strumenti conoscitivi di cui disporrebbe per calarsi nei panni di uno studente inesperto e con pochi mezzi), al problema delle fonti e del loro reperimento, alla consultazione dei cataloghi bibliotecari.
Per quello che riguarda le schedature, l’autore si dedica a una trattazione estensiva del metodo, con tanto di esempi pratici e di riproduzioni dei suoi stessi appunti da universitario; se da un lato alcuni passaggi risultano essere un po’ obsoleti (il testo è stato pubblicato per la prima volta nel 1977), la descrizione generale delle varie fasi della ricognizione bibliografica si rivela ancora molto attuale, suggerendo la realizzazione di due diversi schedari, uno di lettura (per la registrazione delle fonti effettivamente esaminate dal laureando), e uno bibliografico (dove confluiscono le registrazioni di tutta la bibliografia reperibile sull’argomento scelto).
Dopo un ampio excursus sulla citazione bibliografica (il vademecum che se ne deriva è preciso ed esaustivo e illustra al lettore quale tecnica, ordine e carattere usare per citare le fonti all’interno di un testo), l’autore tratta la fase della progettazione dell’indice che, se si vuole realizzare un programma di lavoro organizzato, va stilato subito, prima di mettersi a scrivere la tesi, per poi aggiustarlo e riformularlo mano a mano che la stesura procede.
Infine l’autore si dedica agli aspetti legati al processo meramente creativo della scrittura, fornendo consigli sulla necessità di definire propriamente ogni termine tecnico che viene citato, di preferire periodi brevi e di facile comprensione, di dividere il testo in capitoli e paragrafi, di sottoporre il lavoro al relatore o a un suo collaboratore per testare di volta in volta le reazioni che suscita nel lettore, di evitare un eccesso di interpunzione (soprattutto per quello che riguarda punti esclamativi, punti di domanda, puntini di sospensione).
Alla fine del volume compare un vero e proprio modello di stesura definitiva della tesi. Essendo esso battuto a macchina, molti degli aspetti che riguardano l’editing e l’impaginazione risultano obsoleti e vanno ripensati e riadattati all'uso della scrittura elettronica, che presuppone procedure più flessibili. Ciononostante il lavoro di Eco, approfondito ed esauriente, resta un punto di riferimento fondamentale per tutti gli studenti che si apprestino a scrivere la propria tesi di laurea, o per coloro che semplicemente desiderino imparare a scrivere in modo corretto e scientificamente ineccepibile.

 

Proseguiamo con la scheda descrittiva degli Esercizi di Stile di Raymond Queneau (sempre a cura di Stefania Russo, con aggiornamento di Sabina Ghirardi).

Titolo: Esercizi di stile

Autore: Raymond Queneau

Editore: Einaudi

Pagine: 315

Prima edizione: è di marzo 2014 l’edizione Einaudi. La prima edizione italiana con la traduzione di Umberto Eco è del 1983.

Prezzo di copertina: € 13,00


Brevi cenni sull’autore
: Raymond Queneau è uno scrittore francese, nato a Le Havre nel 1903 e morto a Parigi nel 1976. Innovatore linguistico, si laurea in Filosofia alla Sorbona. Dopo un periodo surrealista (dal 1924 al 1929), diventa collaboratore di riviste letterarie di primo piano, come Nouvelle Revue Française e Les temps modernes. Dal 1954 dirige l'Encyclopédie de la Pléiade per le edizioni Gallimard. Tra le sue opere ricordiamo Zazie dans le métro (1959), Les fleurs bleues (tradotto per il mercato italiano da Italo Calvino nel 1967), Le vol d'Icare (1968).

Commento: Gli Esercizi di stile – pubblicati nella prima edizione da Gallimard nel 1947 – constano di novantanove variazioni del resoconto di un unico fatto banale – un uomo che, su un autobus, si sente importunato da un altro passeggero e che successivamente incontra un amico con il quale imbastisce una conversazione modaiola – che l’autore declina apparentemente senza un progetto ben definito. Le quasi cento reinterpretazioni stilistiche, infatti, non rispondono ad alcun tipo di ordine, né alfabetico né tematico: gli Esercizi vengono proposti al lettore come una cascata di virtuosismi dei quali l’autore non fornisce particolari strumenti interpretativi all’infuori dei titoli che attribuisce loro di volta in volta e che, tuttavia, rischiano di risultare oscuri ai più (sinchisi, epentesi, aferesi, parechesi). Volendo usare le parole di Eco, che ha tradotto magistralmente i novantanove Esercizi, si potrebbe dire che il lavoro di Queneau «è tutto un esercizio sulla retorica, anzi, una dimostrazione che la retorica sta un poco dappertutto».1 Dopo aver svolto i suoi esperimenti sulla base delle figure dell’elocutio, infatti, l’autore si dedica a quelle dell’inventio e della dispositio, per poi sondare il campo della narrazione, della composizione, della poetica, degli atti linguistici, della parodia, dando vita a un effetto comico che scaturisce dall’insieme dei paradossi, dalla varietà dei campioni proposti, dall’accumulo di nonsense. All’interno del ricco campionario di Esercizi si possono quindi trovare esemplari come Volgare, Maldestro, Reazionario, Ingiurioso, nei quali agli aspetti tecnici l’autore mischia un umorismo ostentato che proietta il lettore in una burla di irresistibile maestria. Per far meglio comprendere l’impianto logico alla base del lavoro di Queneau, si dà qui di seguito una dimostrazione di uno degli esercizi ‘possibili’ che l’autore ha posto in appendice alla sua opera senza però svilupparlo:

Arringa difensiva (proposta di svolgimento a cura di Stefania Russo)

Si prendano in considerazione le motivazioni del passeggero A che, nel suo consueto tragitto sulla linea S in qualità di pendolare verso il posto di lavoro, veniva spinto e urtato e molestato dai reiterati scossoni che il passeggero B infliggeva ripetutamente e senza pentimento alcuno alle estremità inferiori del mio assistito. Risulta chiaro, Vostro Onore, come il risentimento espresso dal qui presente nell’allontanarsi da una situazione di cotanto disagio sia assolutamente comprensibile e finanche opportuno. Con un tale e distruttivo malanimo il mio assistito si recava infine ad un incontro con un suo amico di vecchia data che, nonostante il mirabile tentativo di distrarlo attraverso ragionamenti modaioli, non è tuttavia riuscito a distoglierlo da cotanta giustificata frustrazione. Confido quindi in una sentenza equa, che punisca il passeggero B e assolva in pieno il mio assistito, in quanto vittima di un sistema valoriale che mortifica il garbo e le regole del vivere civile in favore di un egoismo e di una noncuranza dilaganti.

Raymond Queneau, Esercizi di stile, Einaudi, 2014, p. XI.

 

Di nuovo a cura di Stefania Russo (con revisione a cura di Sabina Ghirardi) la recensione di un'opera interessante, in cui autobiografia e passione per la lingua italiana si intrecciano inestricabilmente, fino a diventare l'una parte integrante dell'altra.

Titolo: In altre parole

Autore: Jhumpa Lahiri

Editore: Guanda

Pagine: 168

Prima edizione: 2016

Prezzo di copertina: € 10,00

 

Brevi cenni sull’autore: Nata nel 1967 a Londra da genitori bengalesi e cresciuta a Rhode Island (Stati Uniti), Jhumpa Lahiri − (propr. Nilanjana Sudeshna) − si laurea in Lettere al Barnard College di New York (1989), per poi specializzarsi e conseguire un dottorato di ricerca in Studi rinascimentali presso la Boston University. Vincitrice del premio Pulitzer e del PEN/Hemingway Award con la raccolta di racconti Interpreter of maladies (1999; trad. it. 2000), nel 2012 riceve la nomina di membro dell’American Academy of Arts and Letters e nel 2019 quella di Commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana dal Presidente Sergio Mattarella. È autrice di diversi romanzi e racconti, fra i quali il romanzo Dove mi trovo (2018), il primo scritto in italiano, Il quaderno di Nerina (2021), la raccolta Racconti romani (2022).

Commento: In altre parole è un testo puramente autobiografico, un distillato di esperienze che l’autrice vive in prima persona e che traspone sulla pagina. Né romanzo né racconto, è il resoconto chiaro ed efficace di un innamoramento improvviso e a prima vista immotivato: quello dell’autrice per la lingua italiana. Figlia di genitori bengalesi trapiantati negli Stati Uniti, Lahiri visita per la prima volta Firenze e rimane così ammaliata dalla sua lingua da avvertire immediatamente l’impulso di impararla e di farla propria. I progetti di Lahiri però sono ambiziosi: non si accontenta, infatti, di acquisire una conoscenza basilare dell’italiano, sufficiente a imbastire brevi conversazioni, ma desidera impadronirsene in toto, arrivando a partorire l’idea di scrivere un libro interamente in italiano (In altre parole, appunto). Il testo diventa quindi la descrizione di un processo, a tratti difficile, a tratti all’apparenza impossibile, dell’acquisizione di una lingua straniera ma in qualche modo necessaria, refrattaria ma intrigante, attraverso una serie di tappe faticose e fondamentali: l’incontro con l’insegnante veneziana trasferitasi a Brooklyn, lo studio sui libri e sui dizionari, la pratica compulsiva, il trasferimento a Roma. E poi la scrittura incerta dei primi racconti in italiano, le sessioni estenuanti di revisione in compagnia del nuovo insegnante romano, fino alla stesura del suo primo testo in lingua, Lo scambio, che l’autrice riporta integralmente e che tratta metaforicamente le difficoltà che sta attraversando nel suo percorso da discente. Così l'autrice prova a spiegare la sua irrefrenabile attrazione per l’italiano: «Perché mi interessa […] questa nuova relazione con l’imperfezione? […] Direi una chiarezza sbalorditiva, una consapevolezza più profonda di me stessa. L’imperfezione dà lo spunto all’invenzione, all’immaginazione, alla creatività. Stimola. Più mi sento imperfetta, più mi sento viva». In un percorso di affrancamento dalla solida dominanza dell’inglese che è necessario ma a volte doloroso, Lahiri riflette anche sulle sue origini, su un senso di appartenenza sempre manchevole (a proposito della sua infanzia bilingue dice: «Ero sospesa anziché radicata. Avevo due lati, entrambi imprecisi»), sulla condizione dei suoi genitori come immigrati in un paese straniero, sui pregiudizi che ancora oggi la lingua genera invece di abbattere.
Alla conclusione del volume – e del suo cammino verso l’acquisizione della lingua – Lahiri paragona il suo operato agli ultimi anni di lavoro di Henri Matisse, durante i quali l’artista smise di occuparsi di pittura per dedicarsi a una nuova tecnica a metà fra collage e mosaico (la vista deteriorata e la grave malattia che l’aveva costretto su una sedia a rotelle furono determinanti per giungere a questo cambio di prospettiva): è a questa prospettiva che Lahiri si avvicina, al bisogno di «cambiare strada e di esprimersi diversamente». «Il metodo di Matisse», dice Lahiri, «assomiglia un po’ a quello che faccio io. […] Cerco di rifondare, da uno scompiglio di elementi, qualcosa di coerente. Scrivere in una lingua diversa rappresenta un atto di smantellamento, un nuovo inizio».

La presentazione che segue è a cura di Antonio Mainolfi, con la revisione di Sabina Ghirardi

Titolo: La Bustina di Minerva

Autore: Umberto Eco

Editore: La Nave di Teseo - collana i Delfini

Pagine: 336

Anno di pubblicazione: 2020 (raccolta di testi scritti tra il 1990 e il 2000)

Prezzo di copertina: € 17,00

La Bustina di Minerva è una rubrica tenuta da Umberto Eco nell’ultima pagina del giornale "L’Espresso", a partire dal marzo del 1985.
"L’Espresso" è una rivista italiana fondata nel 1955 che si definisce come “settimanale di politica, cultura ed economia”. Le prime pubblicazioni della rivista vedono come direttore Arrigo Benedetti, fondatore delle testate "Oggi" e "L’Europeo", giornalista, scrittore nonché partigiano italiano.
Umberto Eco, ricordato principalmente per il celeberrimo romanzo Il nome della rosa, è stato anche grande appassionato e studioso della lingua, della scrittura e dei dialetti. L’attenzione a questi ultimi, in particolare, ha dato vita allo splendido trattato L’italiano di domani, nel quale Eco si pone l’obiettivo di difendere e incentivare la conservazione dialettale, di analizzare la lingua italiana come unico segno di italianità, esaminando il rapporto che intercorre tra la lingua e l’identità nazionale.
Proprio a fronte di tali studi, coerentemente con la narrazione di questo incredibile studioso della nostra contemporaneità, vengono di seguito riportate quelle che Eco definisce le quaranta regole per scrivere bene, delle quali l'autore scrive: «Le faccio mie, con qualche variazione, perché penso che possano essere utili a molti, specie a coloro che frequentano le scuole di scrittura».

1. Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.
2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.
3. Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.
4. Esprimiti siccome ti nutri.
5. Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.
6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.
7. Stai attento a non fare... indigestione di puntini di sospensione.
8. Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.
9. Non generalizzare mai.
10. Le parole straniere non fanno affatto bon ton.
11. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.”
12. I paragoni sono come le frasi fatte.
13. Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).
14. Solo gli stronzi usano parole volgari.
15. Sii sempre più o meno specifico.
16. La litote è la più straordinaria delle tecniche espressive.
17. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.
18. Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.
19. Metti, le virgole, al posto giusto.
20. Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.
21. Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all’espressione dialettale: peso e! tacòn del buso.
22. Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia.
23. C’è davvero bisogno di domande retoriche?
24. Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe — o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento — affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.
25. Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.
26. Non si apostrofa un'articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.
27. Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!
28. Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini.
29. Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.
30. Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l’autore del 5 maggio.
31. All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).
32. Cura puntiliosamente l’ortograffia.
33. Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.
34. Non andare troppo sovente a capo. Almeno, quando non serve.
35. Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.
36. Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.
37. Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.
38. Non indulgere ad arcaismi, apax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differanza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva – ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competente cognitive del destinatario.
39. Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.
40. Una frase compiuta deve avere.


Aggiungerei inoltre: usa l’ironia, spesso è un ottimo strumento per rendere al meglio le proprie idee!!!


Commento
Le quaranta regole di Umberto Eco, da impartire ad ogni scrittore, sono brillanti, ironiche, fresche e, sopra ogni cosa, giuste. La vera potenza di queste ultime è che evidenziano l’errore proprio nel modo in cui sono scritte: se abbiamo quindi il contenuto della frase, ossia la regola, che ci impartisce tale lezione x, ecco che lo stile è proprio la mancata attenzione nei confronti di quella regola. Questa ironica e brillante “decisione stilistica” crea così un piano basato sull’esperienza dell’errore, nel quale non leggiamo soltanto la teoria di quanto detto, ma ne facciamo esperienza viva proprio nel momento in cui tale teoria viene formulata. Una delle più emblematiche, in tal senso, è la sesta regola: la regola delle parentesi. Eco sostiene, giustamente, che l’eccessivo uso di parentesi segmenti il discorso sfavorendone così la fluidità «Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.» Già ad una prima lettura è lampante quanto quello che Eco scrive sia vero. Un esercizio interessante, relativo a questa regola, è leggerla ad alta voce: risulterà evidente quanto le parentesi, se messe nel posto sbagliato, interferiscano con la fluidità del discorso e della lettura.
Abbiamo, poi, una serie di regole che sono legate alle figure retoriche o, più largamente, allo stile: nn. 1, 3, 7, 8, 10, 13, 16, (tra l’altro l’unica a favore di una figura retorica, rispetto alle altre che impongono cautela nell’utilizzarle) 18, 22, 33. Tra queste una particolare attenzione alla n. 10: «Le parole straniere non fanno affatto bon ton.». È importante, nell’ottica di un autore come Eco, sottolineare che l’uso della lingua straniera non è consono quando si scrive letteratura. Le posizioni a riguardo sono contrastanti e hanno generato, negli ultimi decenni, un vero e proprio dibattito culturale: in università prestigiose italiane, ad esempio la Bocconi, molti insegnamenti vengono offerti con la modalità CLIL, cioè interamente in lingua straniera. Sempre di più, nel lessico quotidiano, vengono integrati anglismi e parole in inglese a discapito della lingua italiana. Tutto questo porta ad un impoverimento della nostra tradizione linguistica che è stata difesa da personalità illustri nell’ambiente accademico, nonché da scrittori, giornalisti e critici. Si può ricordare, in particolare, il contributo che ha dato il Documento veneto rispetto a tali argomenti: soprattuto nel capitolo quarto, Degenerazione e forza dell’Inglese, vengono trattati approfonditamente tutti gli aspetti della vita e della nostra lingua che sono
costantemente influenzati dall’inglese.
Infine vi sono le regole che possiamo definire sulla struttura, ossia tutte quelle che riguardano l’utilizzo consono di congiuntivi, coordinate e subordinate, coerenza logica nel rapporto causa-effetto e punteggiatura. Ad esempio nella regola n. 37 Eco afferma: «Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.» Per la punteggiatura consiglia di non fare «indigestione di….» puntini di sospensione (n. 7), di non essere enfatico, bensì «di essere parco con gli esclamativi!» (n. 27), che «gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.»

In conclusione possiamo notare come le categorie alle quali Eco presta attenzione siano prevalentemente tre: una legata alle figure retoriche (spesso, a suo avviso utilizzate a eccessivamente o mal utilizzate), una legata allo stile in termini più generici (ad esempio non utilizzare anglismi, non andare troppo sovente a capo, non utilizzare arcaismi) e infine una legata alla struttura e alla punteggiatura (rispetto del rapporto di causa-effetto, non fare indigestione di punti di sospensione, non utilizzare male gli accenti e via discorrendo).

Un utile avviamento allo studio della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, a cura di Bianca Lucia Forni, scaricabile in pdf.